I gatti sono animali sociali che si muovono liberamente, e quindi quelli che stazionano e vengono alimentati nelle zone condominiali non possono essere allontanati o catturati per nessun motivo.
A stabilirlo sono ormai svariate sentenze su tutto ilo territorio italiano, che danno ragione ai “gattari” condominiali, sia che i gatti siano i loro, sia che decidano di nutrire dei randagi
Cani e gatti in condominio non possono essere vietati dal regolamento:
La Riforma del Condominio, Legge n.220/2012, ha stabilito che non può essere vietato di detenere e possedere animali domestici nelle singole unità abitative private, invitando però i condomini ad avere cura che nelle parti comuni del condominio i propri animali non circolino incontrollati. Ora è intuibile che per i proprietari degli animali domestici è più facile controllare i cani al guinzaglio rispetto ai gatti in condominio che, per loro natura, sono animali più liberi.
Tenendo conto di questo fattore una recente sentenza del Tribunale di Milano, ribaltando la posizione rispetto a pronunce precedenti, ha dato ragione al gattaro di un palazzo milanese al quale i condomini volevano imporre di non mettere le ciotole per i gatti nel cortile del condominio.
Nel dispositivo della sentenza si legge che “ La Legge 281/91 sancisce la territorialità delle colonie feline quale caratteristica etologica del gatto, riconoscendo loro la necessità (anch’essa tutelata) di avere un riferimento territoriale o habitat dove svolgere le funzioni vitali (cibo, rapporti sociali, cure, riposo ecc.)”.
Il legislatore ha ritenuto che i gatti, animali sociali che si muovono liberamente su un determinato territorio (radunandosi spesso in gruppi denominati “colonie feline”), pur vivendo in libertà, sono stanziali e frequentano abitualmente lo stesso luogo pubblico o privato, creandosi così un loro “habitat” ovvero quel territorio o porzione di esso, pubblico o privato, urbano e non, edificato e non, nel quale vivono stabilmente.
Nessuna norma di legge, né statale né regionale, proibisce di alimentare gatti randagi nel loro habitat cioè nei luoghi pubblici e privati in cui trovano rifugio.
Secondo detta normativa i gatti che stazionano e/o vengono alimentati nelle zone condominiali non possono essere allontanati o catturati per nessun motivo, a meno che non si tratti di interventi sanitari o di soccorso motivati (Legge 261/91).
Pertanto, soltanto in caso di gravi motivazioni sanitarie o per la tutela dei gatti stessi, l’ASL competente può valutare di spostare la colonia, previa verifica e controllo di un luogo alternativo”.
La legge quindi riconosce la natura libera dei felini, sebbene animali domestici. La riforma delle leggi di condominio, del 2012, ha riconosciuto gli animali domestici come parte integrante della famiglia tanto che l’ultimo comma dell’articolo 1138 recita: “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”. I condomini quindi non possono vietare animali domestici nei singoli appartamenti.
Nel caso di rumori molesti, problemi di igiene o richieste di risarcimento danni causati dall’animale domestico al condominio, si può fare ricorso al Giudice di Pace. Gli animali devono inoltre avere accesso all’appartamento quindi non se ne può vietare in assoluto il passaggio nelle aree comuni, ma occorre il buon senso di tutti i condomini.
Il codice civile [art. 1102 comma 1] stabilisce che ciascun condomino può utilizzare gli spazi comuni a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne uso. Impiegare un piccolo angolo del cortile o del porticato per dare da mangiare ai gatti randagi non costituisce un comportamento illecito.
L’uso più intenso della cosa comune non deve necessariamente essere autorizzato dagli altri partecipanti alla comunione, poiché è insito nel concetto di parte comune l’uso che della cosa comune può fare il singolo, posto che prevede la partecipazione pro quota di ogni singolo condominio alla sua proprietà.
Infatti, come statuito dalla Suprema Corte, in tema di condominio, è legittimo, ai sensi dell’art. 1102 c.c., sia l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione – purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini – sia l’uso più intenso della cosa, purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. (CASS. 5753/2007)
Il pari uso della cosa comune, non postula necessariamente il contemporaneo uso da parte di tutti i partecipanti alla comunione, restando affidata alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza.
La nozione di pari uso del bene comune, pertanto, non è da intendersi nel senso di un utilizzo necessariamente identico e contemporaneo, fruito cioè da tutti condomini nella medesima unità di tempo e di spazio, perché se si richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze si avrebbe la conseguenza dell’impossibilità per ogni condomino di usare la cosa tutte le volte che questa fosse insufficiente a tal fine.
Al contrario, i rapporti condominiali devono essere informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.
Ne consegue che, soltanto ove – anche in ragione della specifica destinazione di ogni proprietà individuale – sia prevedibile e ragionevole che tutti i partecipanti alla comunione abbiano interesse a fare un analogo utilizzo della cosa, la modifica apportata alla “res” comune dal condominio che impedisca tale utilizzo deve ritenersi illegittima.
Riguardo all’installazione di casette/ripari, l’uso particolare che il condomino installante fa della cosa comune, installando su una piccola porzione della stessa manufatti amovibili, non può considerarsi estraneo alla destinazione normale dell’area, a condizione che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quello del cortile, o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l’utilizzazione del cortile praticata dagli altri comproprietari, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del cortile medesimo un analogo uso particolare(cfr.: cass. clv., sez. 2A, sent. 20 agosto 2002, n. 12262, cass. clv., sez 2A, sent. 17 maggio 197, n. 4394).
Deve quindi ritenersi che l’esistenza di tale condizione e della non alterazione della destinazione naturale dell’area legittimino l’installazione dei manufatti, tanto più se non risulta provato che il piano di calpestio del cortile/area comune sia variato.
L’assemblea può deliberare a maggioranza il divieto di dare da mangiare agli animali randagi? Potrebbe farlo, ma solo a condizione che la decisione non sia dettata da una avversione per gli animali in sé. In pratica, la delibera deve essere attentamente motivata da ragioni di sicurezza e/o igiene. Ora, se le questioni di sicurezza potrebbero trovare fondamento solo in presenza di cani pericolosi (non è dato conoscere di episodi di colonie feline che abbiano attaccato l’uomo), le ragioni di igiene invece possono essere eventualmente presenti. In tal caso, però, se il condomino che fornisce i croccantini al gatto randagio provvede a tenere ordinata la zona, non ci sono ragioni per impedirgli tale comportamento. Sicché sarà difficile per l’assemblea vietare di dare da mangiare ai gatti randagi. Pertanto la permanenza dei gatti nelle aree condominiali, siano esse cortili, garage o giardini, è da considerare assolutamente legittima. Onde escludere possibili disturbi per i condomini, la legge prevede che il loro numero sia tenuto sotto controllo attraverso la sterilizzazione e che gli animali siano nutriti nel rispetto dell’igiene dei luoghi.
Secondo il Tribunale di Milano [sent. n. 23693 del 30.09.2009] è vero che il giardino è un’area comune e chiunque la può usare purché non ne alteri la destinazione d’uso, ed è anche vero che il cortile non nasce per lasciare cibo ai randagi, ma è innegabile – sostengono i giudici milanesi – che l’occupazione, da parte di un condomino, di uno spazio comune – mediante installazione di piccole costruzioni per gatti (rifugi) del tutto temporanei – non configura un abuso.
Gatti di proprietà
La riforma del 2012 ha stabilito che nessun regolamento di condominio può vietare ai condomini di tenere animali in casa [Art. 1138 cod. civ.], ivi compresi quindi i gatti. Chi è allergico al pelo di gatto difficilmente potrà opporsi a che uno dei proprietari faccia salire il proprio micio in ascensore. Se il regolamento di condominio contiene divieti per animali domestici di usare ambienti comuni tipo ascensori o scale, può essere annullato con ricorso al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla delibera.
La giurisprudenza ha però chiarito che, se il regolamento dovesse essere approvato all’unanimità – ossia con il consenso di tutti i condomini – il divieto di tenere animali in appartamento potrebbe essere legittimamente imposto. Il regolamento è approvato all’unanimità anche quando accettato da tutti gli acquirenti, in separata sede rispetto alla riunione di condominio, all’atto dei rispettivi rogiti di acquisto degli appartamenti.
Invece, per quanto riguarda l’eventuale affittuario, a questi si può vietare di tenere gatti in casa, anche in assenza di una specifica clausola nel regolamento, solo se previsto nel contratto di locazione, contratto che – lo ricordiamo – per essere valido, deve essere registrato all’Agenzia delle Entrate. Se il contratto è “in nero”, tutti gli impegni assunti a voce o anche per iscritto possono essere violati senza perciò subire lo sfratto.
Come comportarsi con vicini che non amano i gatti:
Le minacce agli animali sono passibili di denuncia da parte del proprietario: nessuno può provare ad uccidere o anche solo parlarne, minacciando (del tipo “ti ammazzo il gatto”) il proprietario.
Qualora succedesse, deve essere immediatamente sporta denuncia alla Polizia Municipale, ai Carabinieri o al Corpo Forestale che controlleranno e prenderanno gli opportuni provvedimenti contro colui che minaccia.
È obbligatorio che il gatto abbia sempre la possibilità di accesso all’appartamento, quindi che non venga segregato su balconi, terrazzi o in spazi angusti come trasportini o gabbie, atto denunciabile come reato di omessa custodia (articolo 672 del Codice penale).
Fonti:
Gatti in condominio nelle parti comuni: cosa dice la legge e come evitare liti tra vicini
https://www.condominioweb.com/condominio/sentenza1988.ashx
Gatti in condominio: come comportarsi con i vicini che non li vogliono
https://www.tuttosuigatti.it/leggi-sui-gatti-in-condominio.html